Progetto finanziato dall'Unione Europea
3 Agosto 2023

Ecco perché conviene pedalare bene

Una corretta tecnica di pedalata porta al miglioramento della performance, con un minor dispendio tanto dal punto di vista muscolare quanto, soprattutto, metabolico.

Il concetto è indiscutibile. Pedalare in maniera tecnicamente corretta, grazie a un maggior equilibrio nel reclutamento dei distretti muscolari interessati, significa rendere il gesto specifico più efficace. In pratica, attraverso una miglior attivazione delle giuste catene cinetiche, concetto supportato da una serie di elementi biomeccanici personalizzati, si ottiene una maggior erogazione di watt. “Pedalare bene” significa anche essere più “economici”, spendendo meno dal punto di vista muscolare e, soprattutto, metabolico.

Cosa s’intende “pedalare bene”

Iniziamo spiegando cosa s’intende per “pedalare bene”. Il concetto è strettamente collegato a ciò che in gergo si definisce “pedalata rotonda”: una gestualità nella quale siamo indotti a reclutare in modo più completo ed equilibrato le catene muscolari nella fase di richiamo, in particolare i muscoli flessori del ginocchio, tra cui il bicipite femorale, ma anche il flessore dorsale della caviglia (tibiale anteriore) e gruppi muscolari spesso dimenticati. La fase che va dal punto morto inferiore al punto morto superiore viene, infatti, spesso vista erroneamente come un momento passivo ottenuto dall’effetto di una pedalata grezza, “a stantuffo”, principalmente eseguita tramite la spinta del quadricipite femorale dell’arto opposto.      
La pedalata rotonda, invece, comporta, anche se in percentuali diverse, un gesto proporzionalmente attivo in ogni angolo di spinta all’interno del completo giro di pedale di 360°:

Per realizzare ciò, oltre alle esercitazioni specifiche, sono importanti anche alcuni fattori che possiamo definire meccanici o, meglio ancora, bio-meccanici: altezza sella, avanzamento/arretramento sella, posizione delle tacchette, lunghezza della pedivella. Sono tutte componenti che portano a far lavorare in maniera più o meno corretta le nostre leve collegate ai loro fulcri, ossia l’anca, il ginocchio e la caviglia. Possedere, per esempio, un’eccellente mobilità articolare della caviglia durante l’intero ciclo (360°), si dimostra vitale per l’ottenimento della pedalata corretta al fine di scaricare il massimo della potenza erogabile dalla nostra “macchina”.

In contrapposizione alla “pedalata rotonda” troviamo la “pedalata a stantuffo” in cui il ciclista tende a confidare soprattutto sulla propria componente forza cercando fin da subito la prestazione velocità dettata dall’ampiezza del rapporto e non dalla frequenza del movimento. È una soluzione che può dare un’immediata soddisfazione prestazionale, ma che, nel contempo, crea un importante affaticamento muscolare e che, in maniera del tutto inconsapevole, pone dei grandi limiti nei margini di miglioramento. Insomma, senza accorgersene, avvia verso un “viaggio tecnico senza uscita”.

Limiti nella pedalata rotonda

La domanda sorge spontanea: c’è un limite nella pedalata rotonda e, soprattutto, nell’alta cadenza della stessa? Ebbene sì: sopra una certa cadenza, superiore a 120 RPM circa, la pedalata rotonda dovrà un po’ mettersi da parte perché non sarà più in grado di dare il suo contributo. Oltre a diventare troppo dispendiosa dal punto di vista metabolico, non potrà essere sostenuta a livello meccanico, o meglio neuromotorio, in quanto, ad altissime frequenze, difficilmente riusciamo ad avere i tempi “nervosi” per il giusto gioco tra i distretti muscolari agonisti-antagonisti e, quindi, a reclutare nella maniera e nei tempi adeguati le catene cinetiche corrette.

In condizioni di altissime cadenze di pedalata, è molto difficile far intervenire in maniera attiva proprio quei gruppi muscolari che intervengono dal punto morto inferiore al punto morto superiore (180°-360°). Faccio un esempio concreto: il ciclista “velocista” è propenso a usare alte cadenze nelle fasi di massimo stress, pur utilizzando “lunghi rapporti” grazie alla sua grande forza muscolare. In condizioni di massimo stress (grandi accelerate in sella o volate fuori sella), “stantuffa” ed è così che, in quel particolare momento, eroga il massimo della sua potenza.

Stiamo, tuttavia, parlando di ciclisti dalle caratteristiche molto particolari e di situazioni altamente specifiche. Riferendoci in generale al gravellista, la miglior soluzione rimane di gran lunga la pedalata rotonda e. possibilmente, in base anche alle caratteristiche fisiche e fisiologiche individuali del soggetto, in un range tra 90 e 105 RPM circa.  

E, allora, lavoriamo su questa rotondità, perché se è vero che certi atteggiamenti sul mezzo sono più facilmente automatizzati in età giovanile, come tutte le componenti tecnico-coordinative dei vari sport, è altrettanto vero che si può migliorare anche da adulti. Probabilmente con un margine inferiore rispetto ai giovani, ma, come sappiamo, sono i dettagli e i piccoli miglioramenti che fanno la differenza, quindi ne vale la pena.

 

coach Sergio Contin
www.studiorxlab.it

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