Foto di Chiara Redaschi
Ci sono storie d’amore che nascono per caso. Incontri che capitano all’improvviso, esattamente al momento giusto. Occasioni da cogliere al volo, senza pensarci troppo, perché potrebbero davvero rivoluzionare la vita. La storia di Mattia De Marchi, se la si guarda da lontano, sembra essere costellata di tanti piccoli segni del destino, che hanno contribuito a renderla grandiosa e allo stesso tempo un esempio accessibile a tutti.
“Great things happen in between”
Classe 1991, occhi azzurri affamati di nuove sfide e gambe sempre in movimento: Mattia De Marchi, in occasione della sua partecipazione agli ultimi Mondiali di Gravel, racconta come la passione per la bici sia nata naturalmente, in famiglia. Padre e zio cultori delle due ruote sin da giovani e due cuginetti (fra cui il professionista Alessandro De Marchi, portacolori del Team Jayco AlUla, con cui ha da poco rinnovato) che a ogni Natale erano soliti ricevere gadget sportivi per le proprie avventure in sella. Mattia decide ben presto di lasciare il calcio per seguire le loro orme e si ritrova, grazie a uno stage con il cycling team internazionale Androni Giocattoli Sidermec, catapultato nel mondo del professionismo. Nel 2016 vince addirittura una tappa al Tour of China, eppure questo non sembra essere abbastanza. In primis non lo è per Mattia, che dopo un periodo di pausa e sconforto, arriva alla conclusione di volere di più del solo pedalare per la performance e i risultati. Così quando un collega gli propone di partecipare all’Ultracycling Dolomitica (675 km e 16.000 metri di dislivello) lui, di pancia, accetta.
Scoprire la Gravel e non abbandonarla più
“Per allenarmi a quella prima endurance ho iniziato a macinare km, ad uscire la sera per abituarmi alle lunghe distanze. Ho scoperto un modo di pedalare completamente diverso, vedendo luoghi che già conoscevo, ma da un punto di vista nuovo”. All’Ultracycling arriva primo e non riesce più a disfarsi della sensazione di benessere che quell’esperienza gli ha permesso finalmente di provare. Gli infiniti dislivelli diventano il suo pane quotidiano: dall’asfalto passa rapidamente allo sterrato e al gravel e se ne innamora follemente. Evento dopo evento, tutti affrontati comunque con una vena di agonismo, approda all’Atlas Mountain Race in Marocco: una gara in autosufficienza attraverso la catena dell’Atlante, con un tracciato di oltre 1.200 km. De Marchi si appassiona al bikepacking e scopre un modo totalmente diverso di relazionarsi con la bici. E anche con se stesso.
Mattia de Marchi
Foto di Chiara Redaschi
Sapersi ascoltare: con la giusta consapevolezza si possono fare tante pazzie
“La bici ti fa passare dei momenti bellissimi, ma anche molto molto tosti”. Scegliere di partecipare alle competizioni di lunga distanza implica necessariamente essere pronti a tutto. Ed è proprio nel 2020 tra le vette rocciose del Marocco, che Mattia ricorda di aver fatto quello switch di mentalità: “Mi sono reso conto che fino al momento dell’imprevisto col manubrio, rotto durante la gara, avevo pedalato con i paraocchi. Destino vuole che mi sia dovuto per forza fermare, alzando lo sguardo e rendendomi conto della bellezza mozzafiato attorno a me che mi stavo letteralmente perdendo, concentrato solo all’arrivo, e non a godermi il viaggio. Da lì tutto è cambiato”.
Il 2023 è stato un anno intenso per il gravellista di Noale, che, a pochi giorni dalla conclusione dei Mondiali, dove ha ottenuto risultati molto soddisfacenti considerando il fior fiore di professionisti affrontati, è volato a Cittadella, per partecipare alla Serenissima Gravel. “Ora è tempo di tirare il fiato, cosa buona e giusta, che nel ciclismo professionista non è assolutamente ammessa”. La linea fra gara e avventura è sottilissima, soprattutto quando si corre a fianco a dei grandi nomi come Mohorič, Vermeersch e Van Aert. “Fondamentale rimane non perdere l’entusiasmo e saper ascoltare il proprio corpo – spiega De Marchi ricordando il recente problema fisico che lo ha costretto a ritirarsi dall’Atlas Mountain Race 2023, nonostante fosse in testa -. Fermarsi può essere frustrante, ma è il corpo che detta legge”. Può essere il tuo migliore amico o il tuo più temibile avversario.
Enough cycling: il potere del collettivo
Durante la pandemia, tra una quarantena e l’altra, De Marchi sviluppa l’idea di formare una squadra con cui condividere la passione per le due ruote a 360°, e perché no, raccontare, anche grazie al supporto di sponsor, le avventure in sella. Mattia ne parla con Federico Damiani, amico ed esperto di marketing e Jacopo Lahbi, ex mezzofondista italiano, e il progetto prende rapidamente forma: nasce così Enough. Si tratta di un collettivo composto ad oggi da dieci fra ragazzi e ragazze che si trovano per pedalare in compagnia, partecipare a competizioni ed eventi o, semplicemente, per far avvicinare i più giovani ad uno sport che per anni è stato messo in secondo piano.
Il motto, almeno per quest’anno, è “A bike is enough to be happy”: correre in bici, in compagnia può davvero rendere la vita piena. Non servono allenamenti estenuanti, tempi cronometrati, diete stressanti o record imbattuti, il potere del collettivo sta tutto nell’amore per la bici e per la condivisione. “Vogliamo che più persone possibili trovino il modo di essere felici e crescere grazie al ciclismo, in tutte le sue forme”. Assolutamente in stile gravel, come piace a noi.
Alice Tonello