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12 Gennaio 2024

Daniel Oss: dal ciclismo su strada al gravel a ritmo “grunge”

Dopo 15 stagioni da professionista su strada, Daniel Oss ha deciso di immergersi nel mondo gravel. Specialized costruirà intorno al campione il suo primo team.

Nell’ottobre del 2022, Daniel aveva già dimostrato di che pasta era fatto anche in sella alla gravel. Infatti, in occasione del primo mondiale gravel tagliò la linea del traguardo in seconda posizione alle spalle del belga Vermeersch. «Cerco di correre da teppista e con cafoneria dal 2009, dando sempre il 110% quando sono in gara. Sputo l’anima e non ho mai rimpianti quando taglio la linea del traguardo» così si descrive Daniel all’interno della sua pagina web. In 15 stagioni da professionista su strada ha ottenuto diversi successi tra cui due vittorie mondiali consecutive al cronosquadre (nel 2014 a Ponferrada 2014 e a Richmond nel 2015). Adora la musica “grunge”, fuori dagli schemi e alternativa, che rispecchia parte del suo carattere. Nel tempo libero tenta di suonare il basso, non con ottimi risultati, e si definisce un cicloamatore della musica. Il sellino della bicicletta è la sua casa. Lì sopra trova libertà e spensieratezza, che lo hanno portato a creare “Just Ride” un progetto che si basa sull’esclusività di pedalare solo per il piacere di farlo. 

Ti definisci un ciclista “grunge” che è un termine propriamente legato al rock e al punk nato negli anni ‘80 a Seattle. Come leghi questo aggettivo al ciclismo e alla tua carriera?

«Mi sono sempre sentito un po’ un ciclista alternativo, diverso, come può essere la musica “grunge”. Come ogni atleta, ho dedicato il 100% di me stesso per vincere una gara. D’altra parte ho sempre visto il ciclismo come una grandissima opportunità da sfruttare, da vivere con il sorriso e con la possibilità anche di ispirare, di coinvolgere tutti gli appasionati. Nella mia carriera ho cercato di sdrammatizzare lo stereotipo del ciclista legato alla disciplina e alla “serietà”. Questo mio modo di essere, lo definisco “grunche” slegato dagli schemi tradizionali».

Hai rimpianti nella tua carriera professionistica? Oltre a quello del tuo quinto Tour de France, dove non ti sei fermato a bere una birra con i tifosi, anche se avresti voluto farlo.

«Da sempre, quando si leggono le descrizioni degli sportivi, si trovano dei dati ben definiti quali peso, altezza, numero di gare, podi e molto altro. Quando, invece, mi chiedono di descrivermi faccio anche questo divertendomi e slegandomi dalla tradizione dei numeri precisi. Stessa cosa faccio quando mi chiedono se ho dei rimpianti nella mia carriera. Ma tra tutti preferisco raccontare l’episodio inverosimile del mio quinto Tour de France. Per motivi ovvi, io non potevo fermarmi in un baracchino a bere birra con i tifosi, anche se sotto sotto avrei voluto farlo ma sempre nello spirito della leggerezza, del pensare un po’ fuori dagli schemi. Racconto, in sostanza, il “rimpianto dello sportivo”. Tutti, abbiamo un piccolo rimpianto, una piccola cosa che magari avremmo voluto fare diversamente. I rimpianti e rimorsi sono cose soggettive e ognuno li vive a modo suo, fanno parte dello sport soprattutto del nostro dove sono più le sconfitte che le vittorie (a parte per Van Der Poel). Mi è dispiaciuto non vincere il terzo mondiale consecutivo a cronosquadre a Doha, dove eravamo super per favoriti. Però, ora che valore ha? Sì, è una sconfitta ma ce sono state e ce ne saranno tante altre. Quel rimpianto può essere benissimo paragonato al rimorso di non essermi fermato a bere la birra durante il Tour con i tifos.

Sei un cicloamatore della musica e cerchi invano di suonare il basso elettrico. Quali sono le caratteristiche che hanno in comune il genere punk e il ciclismo? Si può paragonare il basso alla bicicletta?

«Io ho sempre paragonato la musica al ciclismo. Trovo tantissimi denominatori comuni tra queste due discipline. Ad esempio: viviamo per la maggior parte della stagione in pullman come fa una band durante le tournée. Nella maggior parte dei casi siamo su un palco come lo come lo è una band con sotto un grande pubblico. Il nostro palco può essere sia il podio, sia la strada, perché comunque è la sceneggiatura della nostra coreografia. Poi ci sono i retroscena. La band ha il suo da farsi dietro le quinte, c’è uno studio su come deve essere impostata la musica, la canzone, l’album, il relazionarsi con la casa discografica, il manager, con un fonico e molte altre persone che contribuiscono al successo finale. Per noi ciclisti funziona allo stesso modo: ci alleniamo tanto e siamo in stretta relazione con l’allenatore, gli sponsor e il nutrizionista per la dieta. In una band, il basso è uno strumento d’accompagnamento, fa volume nel suono nella canzone. È uno di quegli strumenti che se non c’è, ti accorgi che manca qualcosa; ma quando c’è, almeno che non abbia il suo momento, non lo senti. Il basso ha la stessa personalità del gregario nel ciclismo, che mi ha accompagnato in tutta la carriera. Sono, in un certo senso, un accompagnamento anch’io, ma allo stesso tempo tengo il ritmo e dò coraggio. A volte capita, che proprio come il basso, io faccia un piccolo assolo, un qualcosa per me. Siamo entrambi parte di un gruppo: facciamo colore ma non ci facciamo notare. Quando manchiamo, però, si sente».

Parliamo di “Just Ride”: com’è nato e cosa rappresenta per te questo progetto?

«Questa avventura nasce dall’evoluzione di un pensiero e della mia storia personale. “Just Ride” rappresenta il concetto di tempo libero per te stesso, per godere di quello che sei, di quello che fai, senza il dovere di farlo. È come quando a scuola ti chiedevano di leggere un libro, ma tu non avevi voglia. Anni dopo, invece, trovi nel piacere della lettura un posto sicuro. Questo concetto è alla base anche di “Just Ride”.  Dopo tanti anni passati a rincorrere sempre la performance e le solite routine di lavoro, ho cominciato a sentire il bisogno di pedalare solo per il piacere di farlo e per scoprire posti nuovi. È un progetto in primis nato per me, per evadere un po’, per darmi aria, felicità e libertà. Rappresenta la purezza, la semplicità più pura dell’andare in bici, basata sul gusto e il piacere di pedalare. Oggi, “Just Ride” si è articolato anche nella condivisione. Con degli amici che fanno video, abbiamo dato al progetto un pizzico in più di creatività: è diventato una sorta di documentario dove mi racconto. “Just Ride” è descrivere, fotografare luoghi e percorsi, incontrare persone nuove con cui condividere il piacere del pedalare. A me piace andare in bici nella sua massima espressione, e voglio condividerla con i miei amici e con altre persone che vogliono e possono accompagnarmi durante questi viaggi».

Lo spirito gravel come si lega a “Just Ride” e alla tua carriera?

«La gravel forma un connubio perfetto con “Just Ride”. Mi rispecchio nella filosofia un po’ alternativa e più leggera dello spirito gravel. Il mondo del ciclismo su strada mi ha dato tantissimo e gliene sarò sempre riconoscente. Ora è il momento di una nuova avventura. È chiaro che il gravel si sta evolvendo sempre di più. I miei sponsor, Specialized e Sportful, puntano su di me come atleta e voglio dimostrare di poter ambire alle prime posizioni del podio anche in questa disciplina. Nonostante la mia voglia di libertà che si esprime con Just Ride, l’atleta che è dentro di me resta sempre, amo competere e mettermi in gioco».

Quali sono state le principali motivazioni dietro la tua decisione di sposare a tempo pieno il gravel?

«Sono arrivato a fine carriera in maniera “normale”. Diciamo che il percorso di un atleta professionista su strada, dopo 15 anni, tende ad andare a scemare, com’è giusto che sia anche con l’arrivo di nuovi giovani. Adesso ,anche con moltissima serenità, mi sento pronto a riconsiderare me stesso, a capire quali sono le mie priorità e le mie capacità. La mia evoluzione personale va a coincidere con quella che adesso è anche l’evoluzione del gravel La più grande motivazione è , comunque, quella di essere un atleta. Io voglio competere ai massimi livelli. Mi piace mettermi in gioco e mi piace allenarmi. Del gravel amo la sua doppia personalità: l’intreccio di agonismo e avventura. Inoltre Specialize e Sportful mi stanno supportando parecchio. Specialized mi ha voluto fortemente nel loro team e io ho voluto loro»

Specialized sta costruendo il suo primo team gravel intorno a te. Puoi condividere alcuni dettagli su come sarà strutturato?

«Specialized ha fortemente investito su di me come atleta gravel. Correrò con le loro biciclette, mentre la divisa la disegnerò e la realizzerò con Sportful. Più avanti, nulla toglie che questo team si possa ingrandire coinvolgendo altri professionisti. L’obiettivo è quello di ottenere dei risultati.  È chiaro che la gara è la gara, si vince e si perde, può succedere di tutto. Però si punterà sempre a fare il meglio».

Come Specialized e Sportful stanno supportando la tua transizione al gravel? Hanno piani specifici o iniziative per aiutarti a essere competitivo al 100%?

«Specialized mi chiede di far parte delle gare più popolari e grandi del panorama gravel come le UCI World Series e di ottenere i migliori risultati possibili in un panorama internazionale per fare gli Europei e i Mondiali. Sarò presente nelle Gravel Earth Series più popolari come The Traka. La prima gara che farò sarà, dal 16 al 18 febbraio, la Santa Vall a Girona. Ci saranno, poi, altre due gare in Sardegna, ad Orosei, e sarò presente anche alla Monsterrato. Poi, nel caso venissi convocato, preparerò anche il Mondiale e l’Europeo. Specialized mi fornisce tutto ciò di cui ho bisogno per correre. Mi darà, inoltre, tutto il supporto tecnico, sarò seguito da un meccanico che si occuperà della manutenzione e della preparazione della mia bicicletta. Dal punto di vista della preparazione fisica e atletica, dopo tanti anni di esperienza, mi posso muovere in totale autonomia. Mi sto preparando come gli altri anni, al meglio che posso. Ci sarà anche una bella trasferta in America per l’Unbound».

Quindi hai già pronto un calendario di alto livello?

«Certo. Come dicevo la prima gara saranno le tre tappe di Santa Val a Girona, dal 16 al 18 febbraio. Poi ad aprile ci sarà una gara in Austria valida per l’Uci World Series. Ai primi di maggio ci sarà The Tracka del circuito Earth Series. Volerò, poi, in America (fino al primo giugno) per l’Unbound. Cercherò di fare sempre due o tre gare al mese. In mezzo vorrei inserire anche un bel viaggio “Just Ride” anche se non so dove e come. Se ci sono dei lettori che vogliono consigliarmi qualcosa, ben venga. L’anno scorso con Sportful siamo andati in California a fare la Coast Ride. Ll’Italia rimane un territorio stupendo per fare viaggi in bicicletta, c’è moltissima scelta. Mi piacerebbe anche l’idea di fare le Canarie o il Marocco in sella alle due ruote»

Cosa ti aspetti di ottenere in questa nuova fase della tua carriera?

«Essere competitivo e forte. Non pretendo assolutamente di vincere perché so quanto costa una vittoria in termini di fatica e di impegno. L’obiettivo è quello di essere sempre lì a lottare e quello che succederà, succederà. Al di là di questo mi piacerebbe moltissimo potermi godere l’ambiente che mi circonda, conoscere tanta gente e correre in maniera pura. Nelle gare gravel davanti ci sono i professionisti ma il bello è che dietro c’è anche tutta una serie di amatori che fanno il loro giro, affrontano la loro sfida. Voglio proprio immergermi e conoscere a fondo questo nuovo mondo gravel».

Cosa ti attrae in assoluto di più del mondo gravel?

«L’avventura e il fatto che questa sia aperta a tutti, esperti e non. Mi piace lo spirito di mettersi sempre in gioco che accomuna tutti i gravellisti. In questo mondo, ci sono tanti amatori della bicicletta, inteso come gente che ama il mondo delle ruote. Questo mi affascina moltissimo».  

Riccardo Magagna

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